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“Una giovane ragazza che fa pace”: l’incoscienza della gioventù contro l’orrore nazista

All’età di 19 anni, Irene (Rebecca Marder) ha la vita davanti a sé. Studentessa di teatro parigino, lavorava di sera come assistente di teatro mentre si preparava per l’esame di ammissione al conservatorio, per il quale Marivaux faceva le prove con una delle sue amiche. Sempre sorridente, la ragazza irradia felicità e gioia di vivere. A casa, suo fratello (Anthony Bajon) sta facendo i suoi calcoli e pensando alla sua bella Héloïse. Ma suo padre (André Marcon) e sua nonna (Françoise Widhoff) appaiono più oscuri. È l’estate del 1942 e la famiglia dovrà presto indossare la stella gialla…

Per il suo primo lungometraggio da regista (na bella faccia, cortometraggio con Chiara Mastroianni nel 2016), Sandrine Kiberlain firma un film molto personale di quel periodo. Ispirata lontanamente dalla storia dei suoi genitori, disegna un’evocazione della disattenzione dei giovani di fronte all’orrore dei nazisti. Cosa spicca? Una ragazza che sta beneÈ infatti la leggerezza di un film nutrito dal rapporto della regista con l’essere ebreo e dai suoi stessi ricordi di studentessa di teatro. Il teatro qui funge da via di fuga per la bella Irene, che non riesce a vedere le nuvole scure che si addensano sopra la sua testa. Proprio come suo padre che, zelante funzionario dello Stato francese, semplicemente non riesce a immaginare cosa sta per accadere…

L’orrore quotidiano

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