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Audrey Estrougo – “Pazzo”

Il cinema francese è attualmente attraversato da una sorta di fascinazione per il tema del disturbo mentale, con più o meno successo a seconda delle opere che se ne occupano (la prossima edizione di Vortice, il capolavoro di Gaspar Noé, sarà una sorta di apoteosi di questa tendenza). Sesto lungometraggio della regista Audrey Estroug, alla follia non cade nella trappola del pathos dell’ultimo film di Régis Roinsard, fingendo una fantasia demagogica per strumentalizzare il bipolarismo per scopi melodrammatici di base (Aspettando Bojangles† Non è ultima delle qualità di Estrougo rimanere in una forma di realismo verso un soggetto di contenuto autobiografico (alla follia è dedicato al fratello, commosso dalla schizofrenia evocata dal film), che gli permette di affrontare con autenticità e finezza il tema della malattia e il modo in cui colpisce brutalmente la vita di chi lo circonda che, il più vicino possibile nelle crisi , sopportane il peso come una città costiera che attende ansiosamente le forti raffiche di un temporale invernale.

Rinchiusa nel suo mondo (L. Debay) (©Damned Distribution)

Manu (Virginie Van Robby, primo ruolo al cinema) è una giovane donna che vive a Parigi. Ritorna nella sua casa d’infanzia rurale per il compleanno di sua madre (Anne Coesens). La vita in questa casa è interrotta dal flusso e riflusso del disturbo mentale della sorella maggiore Nathalie (Lucie Debay), che rifiuta le medicine e che sembra sprofondare in una violenta crisi da un momento all’altro. E questo soggiorno si trasforma gradualmente in un confronto latente tra Manu e il disagio che la malattia della sorella le provoca, per non parlare dell’implosione che provoca negli equilibri familiari.

alla follia si sviluppa secondo il ritmo dell’eterno andirivieni: dalla dolcezza della sorella malata ai suoi slanci di cruda violenza; dalla più tenera e straziante sorellanza al più profondo odio reciproco (culminato in una scena da discoteca brutale e leggermente terrificante); della ragione di Manu e di sua madre nei momenti in cui la patina della loro pazienza irrompe e li fa precipitare nel loro abisso di dolore e di ingiustizia. Potremmo dire che c’è un lato un po’ sistematico nella struttura narrativa del film, ma questo aspetto ciclico è proprio il più capace di restituire la realtà dei disturbi mentali dove nulla è mai stabile, alternanza costante di crisi e momenti in cui la lucidità si manifesta nuovamente, una marcia forzata su una fune da cui si può sempre cadere ma a cui ci si può sempre aggrappare. La messa in scena di Audrey Estrougo permette di rappresentare graficamente questo stato di esitazione e incertezza. Alcuni momenti in cui Manu osserva sua sorella Nathalie sembrano rivelatori: quest’ultima è sfocata sullo sfondo mentre la figlia più giovane la guarda dalla prima; una modifica della lunghezza focale li pone quindi nella stessa sfocatura. La distinzione tra l’anziano ammalato attivo e il più giovane osservante sembra poi scomparire, le due donne vengono finalmente poste su un piano di parità alla luce del disordine, qui letteralmente.

Sorella amicizia (in primo piano: V. Van Robby; L. Debay) (©Damned Distribution)

Quando le scene di crisi rendono il film intenso, traboccante di violenza il cui limite è sconosciuto (fare un film come Gli Intranquilli di Joaquim Lafosse, chiunque ci venga in mente alla follia nei panni di un cugino, il cineasta belga che fa crisi di bipolarismo nel suo personaggio, interpretato da Damien Bonnard come terzo centrale del suo lavoro), i momenti di tranquillità sono travolgenti, Nathalie prende coscienza della sua malattia e crolla profondi scoppi di colpa e dolore emotivo. Da questo punto di vista, la scena finale del film rivela una tenerezza davvero commovente, la distanza di una giovane donna che si confronta con un male più forte di lei, distruggendo tutto sul suo cammino e cercando di contenerlo.

Questo approccio accurato a questi soggetti così scivolosi è reso possibile dal talento delle attrici, la cui scelta rimane cruciale; un’interpretazione sbilanciata, troppo esagerata, non sufficientemente ancorata alla realtà, potrebbe trasformare la vicenda in un fascino voyeuristico. Il duo di attrici è felicemente abbinato qui: Lucie Debay nel ruolo di Nathalie mostra una serie impressionante di recitazione, perfetta nell’introspezione dolorosa come nella rabbia più orribile; la sua spalla Virginie Van Robby non si accontenta di passare i piatti, miracolosamente solo per interpretare gli stati d’animo dolorosi, teneri e violenti del suo personaggio come una sorellina devastata. Entrambi legittimano la visione dialla follia, da attribuire a poche storie secondarie non troppo esaltanti (tutto sui personaggi maschili sembra troppo) e una messa in scena abbastanza comoda nel finale, ma che, grazie alle attrici, prevede comunque un lavoro frontale e misurato sul un argomento che a volte riguarda l’esagerazione. Bel prezzo!

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